WONKA: un protagonista troppo zuccheroso?

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In questi giorni nelle sale è disponibile una pellicola che stavo aspettando da un po’, dato che il personaggio di cui si parla mi ha sempre affascinato anche se – mia grandissima mancanza – non ho visto gli altri film adattati dallo stesso romanzo di Roald Dahl prima di andare al cinema lo scorso weekend: sto parlando di WONKA adattato da Charlie and the chocolate Factory, romanzo pubblicato nel 1964.

Il film si propone come un prequel e una origin story del personaggio di Willy Wonka. C’è da dire che la sottoscritta è andata al cinema completamente a digiuno di qualsiasi altra interpretazione attoriale e quindi la mia visione è stata senza pregiudizio alcuno.

Durante la visione della pellicola non mi sono sembrate ore perse o ore buttate. Il film in sé non è malvagio: è un musical carino e godibile ma nei giorni successivi – non completamente soddisfatta e avendo intravisto per anni frame degli altri lavori precedenti – presa dalla curiosità ho deciso di recuperare La fabbrica di cioccolato (2005) di Tim Burton disponibile su Netflix, con Johnny Depp che interpreta il personaggio di Willy Wonka e casualità ha voluto che il giorno dopo passasse in televisione anche il film del 1971 Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato in cui Mr. Wonka è stato interpretato da Gene Wilder.

Chalamet è giovane e ha già dato sfoggio delle sue abilità attoriali in Chiamami col tuo nome (2017) e Dune: Parte 1 (2021) ma devo dire che per quello che ho potuto vedere, questo Wonka non regge botta. Il giovane Wonka qui è sì “eccentrico” ma è più un’eccentricità da personaggio comico-quasi disneyano e non vi è nessuna traccia del cinismo di Wilder o della – passatemi il termine – cattiveria e profonda malinconia che ho potuto riscontrare vedendo il film di Burton, anche se i fan di Chalamet saranno sicuramente contenti di vederlo interpretare un personaggio allegro e felice invece di altre interpretazioni seriose e cupe a cui sono più abituati.

BACK TO BASICS

Ricercando informazioni sul materiale originale, nel romanzo non si fa cenno all’infanzia o al come Wonka sia diventato un imprenditore e cioccolatiere così rinomato nel mondo di Dahl. Questo può essere visto come una lama a doppio taglio in quanto si ha carta bianca da un lato ma al contempo si può sbagliare strada.

L’idea – autobiografica – di Burton di immaginarsi un bambino al quale è stato vietato di mangiare dolci, col padre dentista e con un bell’apparecchio vintage ai denti è sicuramente più accattivante di un ragazzino che insegue il suo sogno (e della mamma) per arrivare ad aprire il proprio negozio di cioccolato e dolciumi la cui essenza, particolarità e personalità risiede nella sua valigia da piccolo maitre chocolatier piena di ingredienti da tutto il mondo.

La storia di questo Wonka parte da una promessa fatta alla mamma di aprire un negozio alla Gallerie Gourmet e per riuscirci dovrà superare varie peripezie: da un contratto da schiavo in lavanderia firmato senza saper leggere, al cartello del cioccolato capitanato da tre mastri cioccolatieri affaristi e senza scrupoli, alla corruzione della polizia del luogo con annesso anche il clero, a dover ripagare dei vecchi debiti con UN UNICO Umpa-Lumpa (Hugh Grant).

In questo mondo così sfaccettato, l’unico personaggio che – a mio avviso – aveva poco da dire era proprio il protagonista. Colpa della sceneggiatura che lo ha descritto troppo da “bravo ragazzo” tutto sogni, speranze e ingenuità o colpa mia che forse sono troppo grande per vedere un film del genere senza farmi salire il diabete per alcune scelte fatte. Sicuramente un eroe propositivo, inventore (e qui non dico nulla, siamo nel personaggio) però potrebbe essere un qualsiasi eroe “standard”, un buono di cuore che a parte fare scherzetti da folletto birichino non fa molto altro. È una interpretazione che non mi sarei troppo aspettata sapendo un po’ la storia del libro, benché qui si parli di un giovane Wonka e non il cioccolatiere rinomatissimo che abbiamo visto negli altri film.

Tra i personaggi che ho trovato interessanti c’è la coppia di locandieri/lavandai (Olivia Colman e Tom Davis) che avrebbe avuto senso se avessero insegnato al giovane Willy il senso del business, anche in modo vile, da formare una certa visione del mondo e a dare il la per lo sviluppo del personaggio che da buono e ingenuo diventi buono ma cinico e attento a non farsi fregare. Anche l’interpretazione della giovane Noodle (Calah Lane) mi è piaciuta: lei orfana obbligata a star lì in lavanderia per sempre e impossibilitata a estinguere il suo debito, ha rinunciato a lottare per la libertà fin quando non entra in gioco anche il giovane Willy Wonka, del quale sarà maestra di lettura e complice per la fuga architettando un piano ingegnoso.

L’unico neo del film – a mio parere – è la poca caratterizzazione del personaggio principale in quale risulta un “eterno bambino” ed eccentrico, cosa che nel libro palesemente non esiste, anzi c’è una certa cattiveria nel rapportarsi coi bambini. La storia della pellicola in sé è simpatica e di intrattenimento per quasi due ore, le canzoni sono orecchiabili (vorrei ascoltarle anche in originale ma intanto complimenti ad Alex Polidori) e molto apprezzabili le reprise delle canzoni del film del 1971 con Pure Imagination e Oompa-Loompa.

Apprezzabilissimo anche l’inserimento di tematiche serie come la corruzione e lo sfruttamento del lavoro (anche minorile) e come poi effettivamente il bene vince sempre e si capovolge l’idea che i poveri non possono far nulla in quanto tali rispetto ai ricchi. Gli effetti visivi sono ben fatti, in particolare la miniaturizzazione di Hugh Grant come Umpa-Lumpa (riprendendo l’estetica del film con Gene Wilder) che ci delizia anche nel finale con una canzone per raccontare il lieto fine durante i titoli di coda.

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