«Il Male è come un fantasma, s’impossessa dell’anima di una persona.»
Gli assassini della Terra Rossa: Affari, petrolio, omicidi e la nascita dell’FBI. Una storia di frontiera (Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI). Questo è il titolo del saggio di cronaca scritto dal giornalista David Grann nel 2017, ripreso da Eric Roth e Martin Scorsese alla sceneggiatura e quest’ultimo alla regia per il film Candidato agli Oscar. Dal 20 ottobre il film è stato distribuito in tutto il mondo e ora è disponibile per la visione in streaming su Prime Video.
Mentre il saggio, come si può intuire dal titolo, è più incentrato sulla legge e sulla nascita dell’FBI e con al centro l’agente White, a Scorsese interessa più indagare il lato etico e umano della tragedia, i legami familiari dei personaggi e come essi interagiscono tra loro per scoprire la verità su ciò che sta accadendo. Non vuole incentrare il film su una crime story di cui ultimamente siamo saturi ma vuole raccontare il marcio della società statunitense di quegli anni, farci rimanere indignati seguendo le vicende di un singolo uomo bianco e potente ma che riflettono un comportamento comune. Da notare come entrambi i racconti abbiano al centro un uomo con il distintivo, un uomo di legge, ma raccontano esattamente l’uno il lato opposto della vicenda: il saggio narra la storia da parte dell’FBI e dell’agente White, il quale indaga sui crimini di Hale e company mentre il film si concentra su questi ultimi e ci mostra una visione da insider sulla cittadina dell’Oklahoma.
La scena iniziale è emblematica di tutto il tono del film: si inizia con un rito religioso dei nativi, che dà un tono di sacralità alla scena per poi staccare e inquadrare dei giovani Osage che ballano attorno a una fontana di petrolio appena scoperta, felici di diventare ricchi di lì a poco: un simbolo della corruzione e della contaminazione della cultura nativa.
IL DILEMMA, LE DUE FACCE E L’OMERTÀ
Di Caprio recita trovandosi nei panni di Ernest, un uomo piccolo che sottostà a ciò che lo zio Hale gli dice di fare. Non riesce a ragionare e a distinguere il bene dal male, accecato dall’avidità e dalla ricchezza che gli si prospetta dinanzi, finendo con il diventare un omertoso complice delle malefatte dello sceriffo. Dapprima Hale sembrerebbe un benefattore, un amico dei nativi ma si rivela ben presto tutto un inganno per depredarli della loro legittima terra. Le buone intenzioni di Ernest, il fatto che si sia davvero innamorato di Mollie, impari addirittura la lingua Osage e cerchi fino all’ultimo di auto convincersi che lui è nel giusto e che lo zio sta cercando di aiutarli comprando le medicine alla moglie, rendono il suo personaggio più umano e piacevole (passatemi il termine) rispetto a un Hale che di buono e salvabile non ha proprio nulla. “Puoi chiamarmi zio o Re” con queste parole infatti mette i paletti lo sceriffo già nei primi minuti di film, facendo capire che il capo indiscusso della cittadina di Fairfax è proprio davanti ai suoi occhi. Hale incarna esattamente l’avidità dell’uomo bianco, conquistatore e truffatore, approfitta infatti della fiducia che i nativi hanno riposto in lui per compiere un massacro nell’ombra, semplicemente tirando i fili della rete che ha costruito. Il così tanto celebrato “American Dream” è infatti un sogno costruito tramite lo spargimento di sangue dei non-bianchi.
Dall’altro lato anche Mollie (e le sue sorelle) sono donne native attratte dagli occhi blu dei colonizzatori, che si lasciano trasportare dai vizi, che siano l’alcool o i soldi. Sono implicate tutte in relazioni rischiose e tossiche, forse non del tutto consapevoli di a cosa stanno andando incontro. Hanno abbandonato la ricchezza della loro tradizione nativa Osage per abbracciare la ricchezza venale importata dall’uomo bianco. L’amore di Mollie per Ernest va in parallelo con la sua malattia, la consuma lentamente. Lei si annulla, resta stoica, soffre in silenzio a vedere il suo popolo, la sua famiglia diminuire di numero giorno dopo giorno finché decide di riprendere la situazione in mano e chiedere aiuto con le sue ultime energie. Una Lily Gladstone impeccabile.
Aggiungerei due parole sulla colonna sonora ideata da Robbie Robertson che ci ha lasciato ad agosto 2023. Compositore che ha collaborato con Scorsese per anni. Robertson porta sul grande schermo per Killers Of The Flower Moon la sua cultura nativa essendo lui stesso discendente Mohawk e Cayuga. La colonna sonora è volutamente ariosa e minimale, mai orchestrale, essa “Risuona insieme al ritmo di tamburi e shaker, accordi che schizzano su chitarre acustiche e pedal steele, accentuati dai suoni vibranti del banjo e dalle grida di uccelli risuonanti attraverso il flauto“. La musica accompagna magistralmente le immagini, passando da canti rituali a schitarrate country, al blues rimanendo sempre incollata alle scene e senza stonature.
LA TRAMA IN CRONACA NERA: OMICIDI E PETROLIO – SPOILER
Ci troviamo negli anni 20 a Fairfax, in Oklahoma, dove abita la tribù degli Osage. I nativi scoprono che sotto ai loro piedi si trova il famigerato oro nero che fa gola ai bianchi e decidono di arricchirsi grazie alla compravendita di terreni e materia prima. Il governo statunitense, però, richiede che gli Osage e i “mezzosangue” gestiscano i loro averi tramite dei tutori legali bianchi, ritenendoli “incompetenti”.
1919: Ernest (Di Caprio) dopo aver rischiato la vita in guerra, torna a casa per vivere con il fratello Byron e lo zio sceriffo William Hale – soprannominato “Re” – (interpretato da De Niro), il quale si finge amico dei nativi con l’intenzione di prendere tutti i loro diritti petroliferi. Lo zio da’ a Ernest un lavoro come autista, inoltre gli chiede di corteggiare la nativa Mollie Kyle (Lily Gladstone), la cui famiglia possiede molte terre. I due si innamorano e si sposano unendo cerimonia cattolica e Osage e hanno tre figli.
Nel frattempo morti sospette accadono tra la popolazione nativa e viene detto allo spettatore che nessuno tra loro arriva ai 50 anni, afflitto da malattie.
Il consiglio degli Osage riflette sul fatto che l’uomo bianco non ha portato nulla di buono e teme che possa succedere uno sterminio razziale come a Tulsa nel 1921. Viene così ingaggiato il detective Burns ad investigare sulle morti nella tribú.
Muoiono Minnie, Anna, Charles, Lizzie, Henry e Pearl e lo stesso detective Burns. Uno dopo l’altro sono morti tutti i membri della famiglia di Mollie e le loro morti non sono mai state investigate. Così facendo tutti i diritti sono andati nelle mani dell’unica sopravvissuta.
Mollie è affetta da diabete e Hale le compra delle fialette di insulina “corrette” con qualche tossina per farla morire lentamente. Nonostante la malattia, la donna decide di chiedere aiuto al Presidente degli USA Coolidge, il quale manda a investigare a Fairfax una versione embrionale dell’FBI che scopre subito la verità. Messo alle strette lo sceriffo tenta di coprire le sue tracce uccidendo i suoi sicari, ma l’FBI arresta sia lui che Ernest. L’uomo scopre l’avvelenamento della moglie e capisce cosa stesse facendo lo zio alla sua amata.
Dopo accuse, dichiarazioni e confessioni, Hale e Ernest vengono condannati all’ergastolo e rilasciati dopo anni di reclusione, Byron non ha scontato la pena in carcere per giudizio sospeso, i fratelli Shoun (sicari) non sono mai stati condannati per mancanza di prove.
Mollie in seguito divorzia da Ernest, si risposa e muore a 50 anni nel 1937. Il film si conclude con una scena vista dall’alto con i superstiti degli Osage che danzano, a testimonianza della resistenza che hanno opposto alla colonizzazione bianca e alla sopravvivenza della loro cultura.
Il film è stato percepito da molti come lungo (è un dato oggettivo, sono 3 ore e mezza) e noioso. Devo dire che per quanto mi riguarda, Scorsese è riuscito a rendere interessanti queste ore, non ho percepito la pellicola come “pesante”. La tematica di certo non è leggera e mi sento di consigliare la visione del film se amate il regista e i film tratti da storie vere, consapevoli della sua durata corposa. È un film che oscilla fra western, gangster movie, crime e a tratti lo definirei spirituale. La ricchezza di sfaccettature che Scorsese è riuscito a indagare, narrando una storia che reputasse importante da raccontare ma da una prospettiva differente da come fosse conosciuta (o meglio sconosciuta) rende il regista un last standing director che ha il coraggio di osare. Nell’industria cinematografica degli ultimi tempi, che punta a intrattenere per quell’ora e mezza senza lasciare nulla dentro, Scorsese forza quello che molti scherzosamente hanno definito “sequestro di persona” per permetterci di riflettere su questa tragedia mai raccontata.

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