“Il Gladiatore 2” (2024) è il tanto atteso seguito del celebre film del 2000, diretto sempre da Ridley Scott. La pellicola, che ha visto il ritorno di Scott dietro la macchina da presa, è uscita nelle sale italiane il 14 novembre 2024 e ha suscitato un grande interesse tra i fan e la critica. La trama si concentra su Lucio, il figlio di Lucilla, che diventa il protagonista del nuovo capitolo della saga, ambientato vent’anni dopo gli eventi del primo film.
Il cast del film include Paul Mescal nel ruolo di Lucio Vero Aurelio, Denzel Washington che interpreta Macrino, Pedro Pascal come generale Acacio. Inoltre, Connie Nielsen riprende il suo ruolo di Lucilla, mentre Joseph Quinn e Fred Hechinger completano il cast interpretando Geta e Caracalla.
Un aspetto che ha colpito particolarmente è il lavoro dei costumisti Janty Yates e Dave Crossman (per i costumi militari), che hanno ricevuto una candidatura agli Oscar 2025 per il miglior design dei costumi (Yates vinse l’oscar per i costumi nel 2000 con il primo Gladiatore ndr). La capacità dei due costumisti di ricreare l’epoca romana, mantenendo al contempo un tocco di modernità, è ciò che analizzeremo in questo articolo.
«(Romanos) rerum dominos, gentemque togatam» ovvero «(I romani) signori del mondo, popolo togato» diceva Virgilio nell’Eneide: come si vestivano i Romani all’epoca dello svolgimento del film, tra il II e III secolo d.C? Databile tramite gli imperatori Caracalla e Geta, i quali storicamente appartengono alla dinastia dei Severi.
Da notare che alcuni personaggi del film non corrispondono alle età, alle cariche, ai fatti storicamente accurati e quindi possiamo dire che il film sia raccontato come un “what if?” della storia che studiamo nei libri, un’ucronia realizzata mescolando e comprimendo un po’ i fatti in meno anni, inventando altri personaggi di sana pianta per il gusto di raccontare una storia hollywoodiana attraverso i “rose colored glasses” di Ridley Scott. 
Il film si apre dicendo che sono passati 16 anni dalla morte dell’Imperatore Marco Aurelio (avvenuta nel 180 d.C, quindi ci troviamo nel 196 d.C, e Scott arrotonda al 200 d.C ndr), con una epica battaglia in cui vediamo l’esercito romano guidato dal generale Giulio Acacio (Pedro Pascal) pronto alla conquista via mare della Numidia, la quale in realtà venne parzialmente annessa all’Impero come “Africa Nova” a partire dal 46 a.C e completamente conquistata nel 40 d.C.
Tra i Numidi sconfitti ci viene introdotto Annone / Lucio Vero Aurelio (Paul Mescal), il quale, perduta la sua terra e la sua famiglia, viene preso e portato a Roma come prigioniero di guerra e ridotto in schiavitù.
Fervente del suo desiderio di vendetta, viene notato dal ricco mercante di schiavi Macrino (Denzel Whashington) e stringe un patto con lui: la fedeltà di Annone per la testa di Acacio.
Iniziano così intrighi politici per rovesciare il governo degli imperatori Caracalla e Geta, si viene a scoprire il passato oscuro di Lucilla (Connie Nielsen) e il collegamento che Annone ha con il gladiatore Massimo Decimo Meridio.
ESERCITO: il primo impatto con la forza dell’Impero Romano
Andando in ordine di apparizione nella pellicola, abbiamo per prime le legioni (flotte) romane, la parte militare della storia di Roma Imperiale. Come “divisa” i soldati avevano tutti una tunica sottostante – tinta di rosso con coloranti naturali come la robbia – e indossavano una corazza diversa in base alla posizione nell’esercito e poteva cambiare anche in base alle esigenze, di battaglia in battaglia.
La lorica segmentata era la tipologia di corazza più comunemente associata a un soldato romano. Come dice il nome, era formata da segmenti, che la rendevano a tutti gli effetti una armatura laminare. Se comprendeva protezioni anche per le braccia veniva detta lorica manicata (fig.1). Le corazze erano indossate sopra un’imbottitura detta thoromacus che i soldati adattavano alle proprie condizioni.
Al fianco, nel cingulum (una cintura) si portava a destra un pugnale detto pugio e a sinistra una spada più lunga detta gladius. In base al loro ruolo si avevano soldati equipaggiati in modi diversi: i soldati scelti che scortavano il comandante avevano una lancia (hasta) e uno scudo rotondo detto clipeus, il resto dei legionari avevano un giavellotto (pilum) e uno scudo oblungo detto scutum.
A sinistra: Lorica segmentata, il soldato qui utilizza un pilum e uno scutum.
A destra: esempio di lorica manicata; in genere costituito da quattordici segmenti di metallo ricurvi e sovrapposti, di cui dodici segmenti più stretti e due più larghi alle estremità.
Altre tipologie di armature erano la lorica hamata (Fig.2 a sinistra), una corazza formata da anelli (che oggi chiameremmo comunemente cotta di maglia) e la lorica squamata (Fig. 2, centrale), che come dice il nome era formata da scaglie metalliche che si sovrapponevano. 
La lorica hamata, aveva un peso massimo di 15 kg. Nel periodo imperiale si aggiunse un rinforzo spallare (humeralis), che veniva chiuso sul petto da due ganci di solito con immagini di teste di animali. Per sopperire al peso sulle spalle, i Romani indossavano una o due grosse cinture in cuoio borchiato, dette balteus, che scaricavano parte del peso dell’armatura sulle anche sostenendo la spina dorsale. La lunghezza della lorica hamata, nel passaggio dall’epoca repubblicana all’epoca imperiale, si ridusse, usando a protezione delle gambe e del basso ventre, gli pterigi di cuoio, ovvero una sorta di gonnellino fatto di frange.
Polibio ritiene che solo i milites della prima classe indossassero questo genere di cotta di maglia, mentre il resto usava il pectorale, una piccola piastra quadrata per proteggere il cuore, oltre a uno schiniere (ocrea), una gambiera dalla caviglia al ginocchio, sulla gamba esposta al combattimento (solitamente la destra), o su tutte e due. Il pettorale poteva anche essere trilobato (fig.3), una placca triangolare in metalli meno pregiati che copriva il petto del combattente.
Fig. 3 – Esempio di armatura lorica squamata con pettorale trilobato decorato, indossata dal capo dei numidi, Giugurta (Peter Mensah). Da far notare che il condottiero omonimo nella storia è esistito: nacque nel 160 a.C. circa e morì a Roma nel 104 a.C – solo 200 anni di differenza rispetto al film, insomma.
Discorso a parte meritano i Signifer (Fig.2, a destra), soldati scelti che portavano gli stendardi della legione, vestivano in maniera più agevole e indossavano pelli di animali.
Nonostante il loro compito fosse di fondamentale importanza, indossavano un’armatura relativamente leggera, costituita da un pettorale di bronzo anziché dalla consueta lorica hamata. Questi erano esploratori, che si inoltravano nei territori nemici, creando mappe e raccogliendo informazioni preziose. Dotati di intelligenza, rapidità, audacia e grande inventiva, spesso indossavano come copricapo la testa di un animale feroce, come un lupo, un orso, un leone o una pantera e una maschera che proteggeva il viso.
Una scena del film, vediamo dietro al Generale Acacio (P. Pascal), un signifer con maschera e pelle di leone.
Questo li rendeva particolarmente riconoscibili, e per i Romani era un segno d’onore non permettere che le insegne cadessero nelle mani avversarie perciò molti soldati si affrettavano a soccorrere i signifer per proteggere gli stendardi della legione o di Roma.
Di conseguenza, essi diventavano un obiettivo molto ambito, poiché alla fine delle battaglie si contavano i signa sottratti alle forze romane. Per i Romani, mantenere gli stendardi era una questione di onore e prestigio. Gli antesignani, quindi, erano truppe leggere d’élite che costituivano l’avanguardia di una legione, addestrate a combattere al di fuori della formazione della fanteria pesante. Il termine “antesignani” significa letteralmente “quelli che precedono lo stendardo” (Signus, Signum).
Altre inquadrature della sequenza iniziale del film, vediamo una lorica hamata, soldati con lorica segmentata che si proteggono tramite lo scutum e un altro soldato di spalle che indossa una lorica squamata. La frequenza e la compresenza di queste armature potrebbe essere contestata dagli appassionati di storia militare, qual io non sono.
Gli Ausiliari erano truppe romane reclutate tra le popolazioni sottomesse, prive di cittadinanza. Durante le campagne di Annibale, l’esercito romano subì pesanti perdite, specialmente nella battaglia di Canne, dove morirono 50.000 soldati. Roma, abituata a vincere anche contro forze superiori, dovette affrontare una crisi dopo questa sconfitta, che sollevò preoccupazioni tra i generali e il popolo, che aveva voce in capitolo nella nomina dei comandanti. Per rispondere a questa situazione, si decise di integrare contingenti di cavalleria di regni alleati, come dimostrato dalla vittoria di Scipione Africano a Zama nel 202 a.C., dove l’esercito romano, supportato da 4.000 cavalieri numidi, sconfisse definitivamente Cartagine.
Le truppe ausiliarie romane, composte da cavalleria, arcieri orientali e frombolieri delle Baleari, furono valorizzate da Giulio Cesare, che riconobbe la loro utilità contro tribù agili e fanterie leggere. La riforma di Gaio Mario stabilizzò il loro ruolo, trasformandole in “auxilia“, cioè truppe di supporto per i legionari. Queste forze variavano per specializzazione e provenienza, con armature e armi eterogenee. Generalmente armati alla leggera, gli ausiliari proteggevano i legionari pesantemente armati, ma talvolta avevano armamenti simili a quelli dei legionari.
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LE ALTE CARICHE: Generali, Imperatori e Senatori.
Per le figure di alto rango era comune la lorica musculata, una corazza che riprendeva le forme del corpo, i muscoli; fatta di materiali vari dal cuoio, stagno, nickel, bronzo, ferro, argento ecc… e per i più ricchi – come gli imperatori e i generali – erano presenti rifiniture in lamina d’oro e decorazioni complesse.
Queste venivano indossate dai comandanti e dagli ufficiali che non portavano lo scudo. La lorica musculata era pesante e poco flessibile anche se di grande scena, per cui fu molto usata dagli imperatori, dai generali e durante i trionfi. Era soprattutto un’armatura cerimoniale.
Gli pterigi, o pteruges o pteryges, erano frange che talvolta formavano una sorta di gonnellino decorativo usato dagli antichi soldati greci e romani al di sotto dell’armatura. Questi erano quindi destinati alla difesa corazzata dell’inguine e della parte superiore delle gambe.
Il paludamentum, usato nell’esercito, era un mantello simile alla clamide greca, riservato però al comandante in capo. Derivò dai tempi della repubblica e si usò poi nella consacrazione del generale sul colle capitolino. In epoca imperiale, e variamente decorato, passò all’imperatore come simbolo di potere, in genere di colore bianco o porpora e fissato sul petto da una fibula.
Costume di Macrino a Sinistra: l’unico a vestire diversamente, in quanto nella pellicola è un ricco mercante di schiavi. Veste elegantemente, i tessuti utilizzati hanno un’influenza orientale e i gioielli sono vistosi. Costume del trionfo di Acacio al centro: Lorica Musculata con pterigi e paludamentum bianco (per l’armatura colore abbastanza improbabile) con rifiniture e ricami dorati. Costume di Lucio Vero Gladiatore a destra: Lorica musculata, humeralis fermato al centro da una placca circolare, pterigi e parapolsi in cuoio (che non esistevano nell’antica Roma ndr) e nel film si lascia intravedere la tunica sottostante. Ai tempi dei gladiatori non si sarebbe mai indossata una corazza a pelle, poiché lo sfregamento avrebbe provocato ferite e abrasioni. 
A sinistra: costume di scena dell’imperatore Geta, molto simile a quella indossata da Caracalla escludendo il mantello – è altamente improbabile che una lorica musculata totalmente in oro ma sicuramente è di grande effetto scenico. Al centro, altro costume di scena per Acacio, questa volta utilizzato sul campo di battaglia e con un paludamentum rosso con ricami dorati ai bordi. A destra sempre una lorica musculata indossata nel film che riprende l’armatura di Massimo Decimo Meridio nel primo Gladiatore (vedi sotto).

Per quanto riguarda i gladiatori, il termine stesso deriva da Gladius, la spada corta in dotazione all’esercito romano e che veniva utilizzata dai lottatori degli anfiteatri. Principalmente i gladiatori erano schiavi o criminali, ma anche ex soldati, persone che anelavano la fama o persone con grossi debiti da ripagare. Esistevano anche gladiatori donna, anche se rare e mal viste dalla società, soprattutto dai più conservatori.
Un pregiudizio diffuso è che le lotte gladiatorie fossero letali al 100%, ma in verità la maggior parte dei combattimenti erano ben regolamentati: si combatteva tra lottatori di esperienza e livello simile, con un arbitro che proclamava alla fine il vincitore. Addestrare i gladiatori era una spesa sostanziosa e farli morire al primo combattimento sarebbe stato uno spreco di tempo e denaro. Inoltre, i gladiatori più famosi erano vere e proprie star, che attiravano il pubblico e dei fan.
Ciò non toglie che l’eventualità della morte non era così lontana, se non per ferite immediate, poteva accadere per infezioni delle stesse.
Come vediamo nel mosaico di Zliten, l’abbigliamento del gladiatore era formato principalmente da una manicae a protezione del braccio, schinieri alle gambe, elmo personalizzato, scudo e a volte una corazza per il petto.

Mosaico di Zliten (Libia), datato II secolo d.C. Vediamo un insieme di varie figure che rappresentano diversi gladiatori.
Fuori dall’ambito militare, tutti i romani utilizzavano sopra a degli indumenti intimi (subligaculum), una tunica “intima” (tunica interior) e una sopra (tunica exterior). La tunica era in genere legata in vita da una cintura e sborsata all’altezza del bacino e il materiale poteva essere di lana o lino e per i più abbienti – in epoca più tarda – cotone e seta. I romani conoscevano l’arte tintoria ed è un “falso storico” credere che il mondo romano fosse solo candido. Tra i coloranti più usati – oltre alla porpora imperiale ricavata dal murice – si utilizzava la robbia per il rosso, la reseda e lo zafferano per il giallo-arancio, l’uva bianca per il verde e l’uva scura per il viola, il fiordaliso e l’indaco per il blu, il mallo di noce per il marrone e il nero e così via.
La toga, indossata drappeggiata sopra la tunica, era un grande mantello rettangolare o ovale riservato soltanto a chi era cittadino di Roma, di conseguenza gli esiliati e gli schiavi non potevano indossarla. Questa permetteva di capire lo stato e la carica civile di una persona. Poteva essere anch’essa di lana o materiali pregiati, a tinta unita, con una fascia porpora o ricamata.
I giovani indossavano la toga praetexta (bianca con una striscia rossa, imitazione del porpora senatorio), ma quando raggiungevano la maggiore età, dovevano indossare una toga bianca (toga virilis), così come chi era candidato per essere eletto per una carica pubblica indossava una toga sbiancata con la calce (toga candida). Le persone a lutto dovevano indossare invece una toga marrone scuro, grigia o nera (toga pulla), mentre i sacerdoti ed i magistrati dovevano indossare una toga che aveva una fascia rossa appuntata sulla spalla e che scendeva sul davanti, larga per i primi e stretta per i secondi (laticlavio, angusticlavio). La toga picta era ricamata, un tempo color porpora e strisce d’oro, indossata dai comandanti delle legioni in occasione della celebrazione del trionfo dopo la battaglia e in epoca imperiale dagli imperatori insieme alla toga palmata. Infine la toga trábea, variopinta e indossata dagli Auguri, figure che presso i romani davano l’interpretazione della volontà degli dei studiando il volo degli uccelli (vedi sotto).

Esempio di scena al foro romano.
I magistrati curuli portavano nei giorni comuni una toga orlata da una striscia di porpora (toga praetexta), mentre nei giorni festivi indossavano una toga tutta di porpora; gli altri magistrati non portavano nessun distintivo particolare. Nell’immagine sottostante vediamo nella scena del trionfo di Acacio, a partire da sinistra una guardia pretoriana che – per qualche arcano motivo – è vestita completamente di nero, cosa non esatta. Sullo sfondo anche i Senatori hanno una fascia nera al posto della fascia porpora come già detto in precedenza.


In questa inquadratura del film vediamo i due imperatori Caracalla e Geta seduti nella tribuna d’onore. Indossano entrambi toghe riccamente decorate.
La descrizione che più si avvicina al costume storico è di toga picta, la quale era ornata da numerose figure ricamate tanto da esser chiamata anche opus pictum. Dapprima di proprietà dello Stato e usata nei trionfi anche dai condottieri valorosi, poi divenne solo appannaggio dell’Imperatore. Qui vediamo Caracalla indossare una toga picta nera: il che è molto improbabile dato che il nero – come oggi – era simbolo di lutto. Probabilmente la scelta è ricaduta su questo colore per esigenze di personaggio, per dare all’imperatore un’aria malvagia. Inoltre è anche corta al ginocchio: altra cosa improbabile, poiché le tuniche corte erano indossate dai romani plebei.
Lucilla. Oltre a dover essere morta nel 182 d.C, quindi non dover essere nemmeno nella pellicola, è vestita in modo errato. Partiamo dal dire che l’intimo era formato da sublicaculum e strophium, e la tunica esisteva così come per gli uomini anche per le donne, non lunga fino ai piedi, chiusa sulle spalle da fibule e cucita lungo i fianchi, con scollo circolare o a V. Al di sopra le donne indossavano una stola, ovvero un rettangolo di stoffa che copriva le spalle, stretta in vita o sotto il seno da una o più cinture (cingulum). Sopra ancora una palla (pallium) un mantello lungo e largo che veniva avvolto attorno al corpo e poggiato sulla testa.
«Quando il pallio di lei pende troppo e tocca il terreno, prendilo e sollevalo con delicatezza dal fango della strada. Come ricompensa ai tuoi occhi si presenterà subito, senza che la fanciulla possa evitarlo, lo spettacolo delle sue gambe.» (Ovidio, Ars amandi)
La donna romana metteva tra i capelli un nastro di color rosso porpora o un tutulus, una larga benda a forma di cono collocata sulla fronte. Raccoglievano i capelli con pettini, diademi, coroncine e spilloni di metallo, annodati o intrecciati dietro le spalle, a boccoli sulle spalle, annodati a corona sul capo o raccolti in reticelle o cuffie simile a uno chignon e non era raro che avessero anche dei posticci per rendere la capigliatura più voluminosa, anticipando di molto le follie della corte di Re Sole in Francia.
Anche spille (fibulae) e numerosi gioielli come orecchini, collane, catenelle (catellae) intorno al collo, anelli alle dita e cerchietti più grandi al braccio e alle caviglie erano di gran moda tra le matrone. 
Qui vediamo una statua raffigurante Lucilla conservata a Palazzo Massimo a Roma messa a confronto con la sua controparte cinematografica, la quale di corretto ha solo i gioielli.
Parliamo di Macrino: nel film ci viene presentato come un ricco mercante di gladiatori, un uomo che si è fatto da sé, acquisendo potere. Il Macrino storico, era di provenienza nord-africana (nato a Caesarea, nell’attuale Libia), apparteneva alla classe sociale dell’ordine equestre (militari di umili origini), ma sotto Settimio Severo divenne prefetto del pretorio – una guardia del corpo dell’imperatore. Ottenuta la fiducia di Caracalla (succeduto al padre Settimio Severo), iniziò a complottare contro di lui e lo uccise a tradimento, autoproclamandosi imperatore per un infelice periodo di 14 mesi.
Gli abiti indossati nel film possono vagamente ricordare un “aldiraeat alsahrawia” (lett. armatura del deserto) detta “draa”, che viene indossata dalle popolazioni berbere che abitano la zona mauritania, una gandura tipica dell’Algeria e un djellaba marocchino (vedi sotto).
Riguardo le scelte stilistiche prese nel film, come detto anche da Yates le fonti di ispirazione sono più che moderne e consapevolmente sono stati presi tessuti e fogge liberamente reinterpretate.
Yates racconta: “Fondamentalmente, il brief di Ridley per i gemelli era Johnny Rotten (dei Sex Pistols ndr). […] Ridley voleva che i gemelli sembrassero piuttosto matti, quindi è stato molto divertente vestirli. Abbiamo usato bellissimi sari dell’inizio del XX secolo e li abbiamo incastonati in gioielli. Avevamo oro su oro su oro, e poi ne abbiamo aggiunto ancora un po’ [ridendo].”
E ancora, riguardo i costumi per Macrino: “Abbiamo portato Macrino a Roma e abbiamo aggiunto vari strati sopra la sua toga. Gli abbiamo dato una collana pesante, braccialetti e un anello su ciascun dito. Si parlava di turbanti, ma Denzel e Ridley non ne volevano uno. Ma Denzel ha sempre indossato orecchini, cosa che mi ha fatto molto piacere. Dà a Macrino quella leggera stranezza orientale. A quei tempi [dell’antica Roma], far tingere qualcosa era molto costoso, quindi volevamo far intendere che Macrino guadagnava un sacco di soldi con il suo commercio. Abbiamo spinto oltre i limiti perché non avrebbero mai avuto i tessuti che abbiamo usato – la seta italiana, per esempio – così come le finiture in frange d’oro francesi e italiane. […] Per dimostrare che erano estremamente ricchi, soprattutto gli imperatori. Ma, come ha detto Ridley, questo non è un documentario. Abbiamo fatto le nostre ricerche ma siamo andati un po’ fuori dai sentieri battuti, diciamo.”
In conclusione, per quanto riguarda la spettacolarità della pellicola – visivamente parlando – l’epicità delle ambientazioni e la fastosità dei costumi non c’è dubbio che la candidatura agli Oscar sia meritata, ma per quanto riguarda l’accuratezza storica di suddetti ambiti non ci siamo proprio.
Basta ricordarsi che Il Gladiatore 2 non è un documentario e si può rimanere affascinati da questa storia ambientata in un universo alternativo del II secolo d.C in cui gli squali nuotano e i rinoceronti vengono cavalcati dai gladiatori nell’Anfiteatro Flavio (non ancora Colosseo ndr), in una ucronia affascinante e che intrattiene lo spettatore fino alla fine.
Per approfondimenti:
– il canale Youtube di iStorica
– Video sulla storia delle gladiatrici QUI
– Intervista di Vanity Fair ad Alberto Angela riguardo il film QUI
– Intervista a Janty Yates QUI
– Dosi A., Spazio e tempo. Vita e Costumi dei Romani Antichi, Quasar, Roma, 1992.
– Dosi A.- OTIUM. Il tempo libero dei Romani. Vita e Costumi nel mondo romano antico, Quasar, Roma, 2006.
– Mafai G., Storia del Costume dall’età romana al Settecento, Skira, 2011.
– Dupon F., Daily Life in Ancient Rome, Blackwell Publishing, 1993.

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