È uscita su Netflix la stagione finale di Squid Game, la serie televisiva coreana di maggior successo. In seguito a una prima stagione da record (dopo un solo mese dalla pubblicazione aveva guadagnato 111 milioni di spettatori, diventando così il lancio più grande della piattaforma), la serie è tornata con un sequel questo dicembre, per arrivare, con questa terza stagione, alla sua conclusione.
COS’È SQUID GAME
Nell’ipotesi in cui qualcuno non ne fosse ancora a conoscenza, ripassiamo brevemente di cosa parla la serie e gli eventi più importanti della seconda stagione.
Il concetto di base è molto semplice: vengono selezionate 456 persone in difficoltà economica per portarle in un’isola sperduta; lì parteciperanno a sei giochi mortali, alla fine del sesto gioco, chi è riuscito a sopravvivere si aggiudica il montepremi finale. Tale montepremi in totale ammonta a 45,6 miliardi di won (circa 28,5 milioni di euro) ed è calcolato in base a quanti partecipanti muoiono: ogni giocatore ha un valore di 100 milioni di won (circa 60 mila euro) e quando muore si aggiunge quella cifra al totale vincibile. Alla fine di ogni gioco, chi riesce a superarlo può votare per decidere se continuare col gioco successivo o se interrompere lì la sfida e dividere equamente il montepremi.

QUASI UNA STORIA VERA
Nonostante il regista Hwang Donghyuk non abbia mai confermato, sembrerebbe che la storia dietro Squid Game sia ispirata a una storia vera: la Brothers’ Home di Busan, anche se la realtà è molto più tragica della finzione in questo caso.
La Brothers’ Home era un centro assistenziale (almeno formalmente) nato nel 1975 con lo scopo di rieducare senzatetto e vagabondi per reintegrarli nella società. Questo in apparenza, perché nella realtà era un campo di concentramento, tanto che i media coreani lo hanno rinominato come “l’Auschwitz coreana”. Il direttore Park Ingeun, per ricevere maggiori sovvenzioni dallo Stato (che erano date in base al numero di ospiti nel centro), diede alloggio a circa 40.000 persone tra il 1975 e il 1987. Ma non tutti erano effettivamente senzatetto, la maggior parte erano persone facili da rapire (bambini, disabili, prostitute etc.). Tutte le persone portate alla Brothers’ Home, oltre a venire torturate e uccise, indossavano una tuta da ginnastica blu, e da qui sembrerebbe esserci il collegamento con la serie tv.
LA SECONDA STAGIONE
Ma torniamo alla finzione. Netflix, dato il successo mondiale di Squid Game, ha deciso di dargli una continuazione con ben due stagioni. Tale scelta si è potuta fare dato il finale aperto della prima, ma era davvero necessario? Secondo me no.
Gihun (Lee Jungjae), dopo aver vinto i giochi, cercherà in tutti i modi di fermarli, arrivando a partecipare una seconda volta. Dall’interno, cercherà di convincere i giocatori a votare di non continuare dopo il primo gioco (che come per la prima stagione era “un, due, tre, stella”). Solo dopo il terzo gioco riesce a convincere alcuni partecipanti a ribellarsi e tenta una rivolta, che però non va a segno.
Nel frattempo, Junho (ex poliziotto e fratello del frontman, interpretato da Wi Hajoon), cerca di raggiungere l’isola insieme a un team di delinquenti chiamati da Gihun e il capitano Park alla guida della nave. Invece, Noeul (una ragazza nordcoreana, interpretata da Park Gyuyoung) viene presa come soldato (i tizi con la tuta rosa e la maschera) e cercherà di sabotare i piani di alcuni soldati che eliminavano i giocatori con ferite non letali per potergli estrarre gli organi e venderli al mercato nero.

ARRIVA LA FINE (MA È DAVVERO FINITA?) – POSSIBILI SPOILER!!
Sei mesi dopo l’uscita della seconda stagione, ecco che i giochi riprendono da dove ci eravamo interrotti. La rivoluzione attuata da Gihun non ha avuto successo e verrà riportato insieme agli altri giocatori per continuare con i restanti giochi, che (dato che i soldati hanno ucciso la maggior parte di coloro che volevano interrompere quella tortura) verranno svolti tutti e tre.
Questa stagione ha una sola pecca: la noia. I giochi non sono minimamente ai livelli di quelli vecchi, solo il primo (nascondino) riesce a farti provare un po’ di ansia, ma anche quella viene interrotta ripetutamente per mostrarti i POV di Junho e Noeul. Dei tre personaggi principali (escluso il frontman, che è il villain) solo uno di essi riesce a portare a termine il suo obiettivo, con gli altri due che sono uno in balia degli eventi e l’altro totalmente inutile per gli sviluppi della trama.
Una cosa veramente horror c’era, e non era nessuno dei giochi: l’inglese dei VIP. I VIP sono persone stra ricche che stanno dietro l’organizzazione dei giochi (il creatore degli Squid Game era il giocatore 001 della prima stagione). Essendo tutti di Paesi diversi, comunicano tra di loro in inglese, ma la recitazione degli attori è stata davvero terrificante: sembrava di guardare una conversazione tra diversi assistenti vocali (tipo Siri, Alexa etc.).
Per il resto la serie fa il minimo indispensabile, per arrivare ad un finale prevedibile che davvero non era necessario. Da come è stata portata avanti (e conclusa) si capisce che Squid Game doveva essere una serie autoconclusiva, ma Netflix, lo sappiamo, non è mai sazia dei soldi e quando fiuta un potenziale successo lo porta allo stremo. E infatti, questa non è nemmeno la fine: nella scena finale ci danno un piccolo spoiler che fa presagire l’arrivo di uno Squid Game USA, cosa che infatti è stata confermata e le riprese di questo spin-off sono programmate per questo dicembre. Ora, la domanda nasce spontanea: ne avevamo bisogno? La bellezza di Squid Game sta anche nel fatto che racconta, attraverso i giochi e i personaggi, la cultura coreana. Cosa potrà offrirci di innovativo la versione statunitense? Non so rispondere a quest’ultima domanda, so solo che per me la storia è finita qui, e non guarderò ulteriori seguiti.

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